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Nel nome di un Cristo clonato |
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Gribaudi, pagg 160, € 10,00 - 2005 | ||
- Un personaggio inchiodato sulla porta di casa, una reliquia scomparsa, un curioso strumento chiamato riflessometro, un indovinello fin troppo semplice da svelare. Partendo da un fatto storico poco noto, il racconto si sviluppa con linguaggio semplice ma denso di annotazioni simboliche, capaci di suscitare forti emozioni, e in questo tempo di deriva verso il peggio si fa metafora della speranza futura, fino a ipotizzare il miracolo più auspicabile del nostro tempo: ritrasformare l'acqua in acqua. Alla fine resta un interrogativo: che senso avrebbe clonare Gesù Cristo? Chi ha oracchie per intendere conosce già la strada. E chi non vuole capire.... |
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- Intervista rilasciata a ADISTA Un "Cristo clonato" Antonio Thellung torna a provocare. Dopo i suoi libri sulla "morale scompaginata" o, l'ultimo, sulla speranza della "conversione dei buoni", propone in questi giorni, con l'editore Gribaudi (Nel nome di un Cristo clonato, pagg. 154, euro 10) un "racconto simbolico fantareligioso", denso di riferimenti evangelici che si intrecciano a simboliche vicende d'attualità e a situazioni come minimo paradossali. Una giovane giornalista riceve l'incarico di scrivere un articolo su un volontario trovato inchiodato alla porta di casa nel Darfur. Nella sua ricerca finisce per incontrare strani personaggi che, attraverso rocambolesche imprese, sono riusciti, con uno stratagemma davvero curioso, a clonare Cristo, per farsi dire da lui come uscire dalle drammatiche contraddizioni del nostro tempo. Alla fine l'unico sopravvissuto di quella singolare équipe si accorge che un Cristo clonato non serve a nulla. E tuttavia è proprio nel rendersene conto che trova la sua strada, condividendola con la protagonista, che parte verso l'ignoto: non sa dove andare, ma ha deciso di andarci. Racconto tutto di fantasia, volutamente in contrasto con le storie maledette di cinema, tv e letteratura, si svolge attraverso un intrigo tenero e delicato, che riesce a suscitare emozioni e curiosità. Specie quando propone soluzioni paradossali a problemi irrisolvibili, tipo il misterioso strumento dallo strano nome di "riflessometro", o guardare al caro-petrolio come ancora di salvezza, o ipotizzare che il consumismo verrà sconfitto quando i poveri aumenteranno in tale dismisura da eliminare il popolo dei consumatori. Thellung, con questo nuovo libro sembri alzare il livello della provocazione, proponendo addirittura un "Cristo clonato". Che succede? Succede che vedo ogni giorno la speranza ripetutamente presa a schiaffi, mentre nell'opinione pubblica continua a crescere l'inquietudine. Immagini e linguaggi d'un tempo non fanno più presa, soprattutto fra i giovani che accorrono ai raduni perché hanno bisogno di aggregazione e di un leader (come dimostrano i Papa-boys), ma che si sentono svincolati da indicazioni teologico/morali tradizionali. L'imperante New Age propone di fatto una spiritualità senza fede, pericolosa perché rifiuta precisi orientamenti e solidi punti di riferimento. La discesa in campo degli atei devoti, poi, indica senza equivoci verso quale deriva stia scivolando la realtà ecclesiastica. Il tuo libro forse sarà bene accolto dai tuoi già affezionati lettori, ma pensi che il genere "fantareligioso" possa creare interesse presso il più generico pubblico cattolico? Non lo so ancora, il libro è appena arrivato nelle librerie. Prima di mandarlo all'editore ho voluto farlo leggere a persone di variegate tendenze e sensibilità. Ho avuto riscontri lusinghieri: qualcuno dice di essere entrato in crisi dopo averlo letto, il che è il massimo che un autore possa sperare, ma altri hanno manifestato critiche e perplessità. So perfettamente che talune immagini provocatorie possono lasciare perplessi, ma il cammino di conversione mi sembra valido, attuale, pieno di serenità e di speranza. O almeno questo ho provato a esprimere. Nel prevalente clima negativo odierno, credo fondamentale contribuire a formare opinione pubblica positiva. Chiunque faccia vivere Cristo dentro di sé per manifestarlo agli altri è un suo clone, e come tale si comporta.
Vita Pastorale del marzo 2007 Antonio Thellung prende spunto per il suo Nel nome di un Cristo clonato (Gribaudi 2005, Milano, pp. 160, € 10) dal gran parlare di clonazione per inventare un racconto che ha il sapore di una parabola. Attraverso un intrigo tenero e delicato - «racconto simbolico fantareligioso», recita il sottotitolo - lascia trapelare il senso cristiano della vita e dà una mano a quanti cercano una speranza non vana in mezzo all'effimero di un postmoderno in salsa New Age. Basterà riferirne la trama per intuire la portata evangelica di questo testo e invogliare a leggerlo. La giornalista romana Teresa deve scrivere un pezzo su Tommaso, un laico in missione di pace - anch' egli romano - che, volontario in Darfur per cercare di aiutare quegli infelici, era finito inchiodato alla porta della sua baracca. Fortunosamente salvato e riportato in patria, ormai convalescente è ricoverato nel reparto di psichiatria: forse è schizofrenico - «certe volte pare che si creda Gesù Cristo» (p. 44) -; parla poco, ma dice cose toccanti. Teresa ne è colpita e, per approfondire il caso, va a trovare la mamma di Tommaso che via via le confida di essersi resa disponibile, trent'anni prima, a una gestazione per conto terzi: una fecondazione eterologa. Ignora di chi sia figlio Tommaso, ma aggiunge che un tempo intorno al ragazzo giravano molte persone importanti, poi tutte morte. Solo un certo padre Battista, domenicano dell' Angelicum di Roma, potrebbe essere ancora vivo. Proseguendo le sue ricerche con le informazioni ricevute all' Angelicum, Teresa finisce in uno scantinato dove un imbonitore propone tesi conturbanti ma positive sulle catastrofi presenti e future. Alla fine della conferenza Teresa gli parla a quattr'occhi e capisce d'essere in presenza di padre Battista (che ora si fa chiamare Lazzaro). Perciò, dando per scontato che lui sappia molto su quella fecondazione eterologa, gli pone alcune domande indiscrete. Risultato: è cacciata via bruscamente. Ma Teresa non demorde e, la sera dopo, ritorna da lui e finalmente si apre un dialogo, peraltro evasivo. Lazzaro infatti butta là paradossi e ironie sulla natura di Cristo, tipo: «Se lo Spirito ci ha messo 23 cromosomi, e gli altri 23 sono rimasti quelli di Maria, allora si è trattato di fecondazione eterologa. Se invece i 46 cromosomi erano tutti dello Spirito Santo, allora si è trattato di clonazione» (p. 87). Teresa scoppia a ridere, ma l'ipotesi è affascinante. Lazzaro, che sente vicina la fine e scaricherebbe volentieri a qualcuno il segreto che, tremendo e fascinoso, lo schiaccia da trent'anni, vede in quella ragazza la persona adatta, e sospetta di nuovo che a soffiargliela tra i piedi fosse «il caso, ossia lo Spirito Santo in incognito» (p. 88). E così l'indomani, quando si rivedono, le svela che trent'anni prima erano riusciti a clonare Gesù Cristo. E quando Teresa gli chiede scettica dove avessero trovato i tessuti di Gesù, dai quali estrarre i cromosomi, Lazzaro le consegna il diario di un prelato. Sul diario Teresa legge di una reliquia custodita a Calcata (Vt), considerata tradizionalmente il prepuzio di Gesù e misteriosamente scomparsa intorno al 1970. Su questo fatto, autentico e storicamente documentato, il racconto procede descrivendo le ricerche via Internet di Teresa, che le fanno ricostruire la provenienza: incoronazione di Carlo Magno, sacco di Roma, e quant'altro. Ora tutto è più chiaro e Teresa, ritornata a trovare la madre di Tommaso, apprende che questi - dimesso dal reparto psichiatrico - è ripartito per altre missioni di pace. Torna quindi da Lazzaro e apprende che Tommaso non sa di essere un clone di Gesù, ma evidentemente lo vive appieno. E così il testimone passa dall'ormai vecchio Lazzaro alla giovane Teresa, né l'effetto tarda a manifestarsi. Lei ha un corteggiatore, sicuro e in gamba: un benestante che le prospetta un tranquillo futuro borghese. Ma, durante un pranzo insieme, Teresa confronta le scelte di Tommaso e quelle che le vengono offerte e matura un'opzione sconcertante. Quella vita comoda, piccolo borghese, non le interessa più e, raggiunto Lazzaro dopo una notte in giro per la città, in un dialogo prevalentemente silenzioso, non ha più dubbi. La mattina lascia tutto e va a raggiungere Tommaso, per seguire anche lei Gesù Cristo e il paradosso del Vangelo. In conclusione, una metafora originale per sottolineare che non c'è alcun bisogno di clonare Gesù Cristo perché, chiunque lo viva dentro di sé, è di fatto un suo clone e, inevitabilmente, lo manifesta agli altri.
Maria Luisa Alberini mi scrive: La storia, attraverso l’analisi attenta dei mali odierni, molto condivisibile, originale e pungente anche nel lucido catastrofismo, da un lato scuote ed invita ad incontrare il nostro male relegato nella fretta e nel disimpegno spirituale, riscoprendo le ansie adolescenziali come sano fermento e non come superata follia. Dall’altro scopre la via, in fondo semplice in fondo facile, non comoda ma alla portata di tutti (gli uomini di buona volontà). Percorriamo la strada di Cristo, non maestro di legge, che non chiede di essere interpretato e troppo studiato, ma solo amato rispondendo al suo irresistibile amore. Una via non precostituita, ma da creare all’istante, tra i mille dubbi, mai certi e mai sazi, ma sempre innamorati di Lui. Credo sia un buon messaggio, soprattutto per i giovani, sarà più difficile per i “buoni” che non pensano di doversi convertire. Sono d’accordo sulla necessità del superamento della presunta convinzione dei giusti pieni di buone intenzione, anche se molto dubito sulla buona fede degli adulti. Elena mi scrive: ho finito di leggere il tuo libro pochi minuti fa, ti scrivo di getto buttandoti addosso le mie reazioni “a caldo”. Mio nipote Francesco mi scrive: Che bello il tuo libro, sono sconcertatamene entusiasta, ha molta forza evocativa e un linguaggio che parla forte e chiaro… Io una cosa geniale e innovativa l'ho trovata: "trasformare l'acqua in acqua, il più grande miracolo dei nostri tempi!!!!! Ti sei guadagnato il limbo delle frasi più mitiche. Complimenti. Sono veramente entusiasta di questo tuo lavoro.
L’impressione globale che ne traggo è questa: è un romanzo decisamente interessante, ben scritto nel complesso, ricco di spunti, di idee vive, che colpiscono; c’è lo sforzo continuo di uscire dai luoghi comuni, di provocare, risvegliare; noto pure tuttavia qualcosa di incompiuto, di inconcluso (v. sotto). Risulta inquietante (non in senso negativo), fa pensare il lettore, lo spiazza. Ha una allegra sgradevolezza (in alcuni punti), un lugubre ottimismo (!). Nel finale il libro si chiarisce: mostra che la visita-sogno di signora Speranza non è stata vana: il libro si apre, si risolve, pur nelle sue antinomie e spigolosità. Ecco forse è un libro spigoloso, urtante, almeno per 3/4: anche se l’explicit, come dicevo, apre spiragli di fiducia. |
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